LABANOF - Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense - Sezione di Medicina Legale - Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute - Università degli Studi di Milano

LABANOF - FORENSE

Lo scheletro al servizio della giustizia

La ricerca e il recupero di resti umani


ARCHEOLOGIA FORENSE, SOPRALLUOGO E SCENA DEL CRIMINE
Ormai da 25 anni il laboratorio si è attrezzato per assistere, in diverse regioni d’Italia, nella risoluzione delle problematiche legate all'occultamento di cadavere. Questo tipo di lavoro, che impegna principalmente la figura dell’archeologo forense, copre un’ampia gamma di differenti scenari e contesti, tra cui la ricerca e recupero di resti, ad esempio: in superficie (in connessione anatomica o sparsi), sepolti, incorporati in strutture o costruzioni, occultati in aree adibite a discariche o allevamenti agricoli e appositamente distrutti e sparsi in superficie. Nella maggior parte dei casi l’impiego dell’archeologo forense si riferisce alla ricerca e al recupero di resti umani, anche se in realtà le stesse tecniche si rivelano essere particolarmente efficaci anche per altri targets, non necessariamente di natura biologica, come armi, refurtive, narcotici e discariche abusive interrate.
Oltre ai casi riconducibili a indagini delle procure ordinarie, gli scenari più frequenti nei quali gli archeologi forensi del laboratorio hanno finora operato riguardano sia casi attenzionati dagli uffici di Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di numerose Procure sul territorio nazionale, sia i così detti “cold cases”, casi di vecchia data. Questi si riferiscono spesso a sparizioni o occultamenti di individui avvenuti anche oltre cinquant’anni prima dell’inizio delle nostre ricerche. Grazie ai cambiamenti naturali e/o antropici che l’ambiente subisce durante questo lungo intervallo, l’identificazione dell’esatta posizione di deposizioni di questo tipo risulta essere particolarmente difficoltosa.
Per questo motivo, durante una ricerca per resti umani occultati in contesti esterni non urbani di qualunque epoca, gli operatori specializzati che eseguono il sopralluogo archeo-forense hanno a loro disposizione un variegato armamentario di esperti, tecniche e strumenti tecnologici che possono mettere in campo, creando così un team perfettamente interdisciplinare e su misura per ciascun caso specifico. Lo studio a tavolino della documentazione disponibile (foto aeree, satellitari e mappe anche storiche), l’acquisizione di nuove immagini e video riprese aeree, sia nei colori visibili che in quelli non visibili (infrarossi) e l’esame della superficie di un’area da parte di personale esperto, in grado di riconoscere le implicazioni che lo scavo può avere su una superficie di interesse, sono solo alcune delle tecniche a bassissimo impatto invasivo che vengono utilizzate. L’impiego della nostra squadra cinofila HRD (human remains detection), appositamente addestrata nell’identificazione di resti umani (in superficie e sepolti) e di tracce ematiche, permette di individuare resti sepolti anche a distanza di anni.
Un’altra disciplina non invasiva che spesso viene integrata all’interno di una strategia di ricerca per una vittima sepolta è quella della geofisica forense. Questa disciplina permette l’analisi e l’interpretazione di dati acquisiti sul campo da appositi strumenti, in grado di riconoscere aree del sottosuolo che corrispondono a “hot spots” (anomalie), compatibili con il target di interesse, rispetto ad uno sfondo circostante che, dal punto di vista geofisico, risulta uniforme. Va sottolineato che tutte le tecniche di indagine nominate o descritte sopra sono di tipo non invasivo e per questo non possono fornire informazioni del tutto concludenti sull’effettiva presenza o meno di un target di ricerca in una determinata area, fornendo a volte falsi positivi o falsi negativi. Le uniche tecniche che permettono di indagare aree, anche estese, con esito certo sono riconducibili alle tecniche di scavo stratigrafico di tipo archeologico. La semplice asportazione di pochi centimetri dalla superficie a mezzo meccanico, a mano o, in alcuni contesti, con potenti soffiatori meccanici, è sufficiente a mettere a nudo il sottosuolo, evidenziando così tutte le eventuali anomalie presenti.
Lo scavo archeo-forense di un’anomalia che si rivela essere una sepoltura clandestina permetterà il recupero integrale delle informazioni contenute al suo interno. In primo luogo questo garantisce la corretta documentazione e conservazione della vittima, in vista del successivo esame autoptico. Inoltre, il recupero e la documentazione di materiale ambientale e di eventuali elementi di evidence che, grazie all’approccio archeo-forense, si sa con certezza essere provenienti solo dall’interno della sepoltura, è utile a fornire risposte in merito a diversi specifici quesiti posti dagli inquirenti. In secondo luogo, va evidenziato che lo scavo archeo-forense di tipo stratigrafico, che prevede l’asportazione del solo materiale di riempimento da una sepoltura clandestina, lascia esattamente in evidenza il profilo tridimensionale dell’interno di una fossa originaria, congelando nel tempo l’esatto istante tra la costruzione della fossa e la deposizione di una salma. Questo tipo d’indagine rende possibile l’esame accurato delle pareti e del fondo di una sepoltura, mettendo in evidenza l’eventuale presenza di segni o incisioni che possono essere rimasti impressi, fornendo così possibili informazioni utili in merito all’identificazione di strumenti impiegati per la sua realizzazione. Questa specifica eventualità richiede una precisa documentazione in tre dimensioni, o attraverso l’impiego di sofisticati strumenti di registrazione 3D e/o attraverso l’acquisizione di calchi in gesso. Dato che tutti gli strumenti da scavo, dal mezzo escavatore meccanico ai semplici pala e piccone, presentano segni di usura specifici e pressoché unici, l’acquisizione di precisi modelli tridimensionali può, se il tipo di terreno nel quale è scavata una fossa lo permette, essere impiegato per la ricerca anche di uno specifico strumento da scavo.

 

Dato che lo scavo e il recupero di qualunque tipo è un’operazione irripetibile, la puntuale documentazione di tutti gli elementi che costituiscono il contesto investigato è di pari importanza alla stessa ricerca e recupero di una vittima. La fase post-sopralluogo vedrà nuovamente la costituzione di una squadra interdisciplinare che sarà chiamata a compiere lo studio della vittima e del materiale campionato dall’archeologo durante il recupero. L’approccio interdisciplinare, che è un po’ il mantra del laboratorio in fatto di sopralluoghistica, oltre a permettere il ritrovamento, il corretto recupero e lo studio del materiale prelevato, offre nelle successive fasi dibattimentali in aula di giudizio, un chiaro e il più possibile completo quadro delle dinamiche ed elementi che costituiscono l’evento delittuoso. Infatti, in questa fase i vari partecipanti alle operazioni investigative, che sono testimoni esperti a tutti gli effetti, sono chiamati a presentare i dati raccolti ed esporre il loro significato in merito a quesiti che possono riguardare:
· la natura criminale, dolosa o fortuita di un determinato evento mortale
· l’identità di una vittima;
· la modalità di occultamento o distruzione di un cadavere;
· il numero di soggetti che hanno partecipato ad un seppellimento clandestino o occultamento;
· la causa del decesso di una vittima;
· l’intervallo dal seppellimento e/o dal decesso;
· la causa del decesso;
· la presenza di elementi di evidence riconducibile alla presenza di un reo sulla scena;
· la presenza di materiale possibilmente proveniente da una scena primaria;
· la presenza di tracce estranee al luogo di ritrovamento che possono ricondurre ad un luogo di un occultamento primario;
· la possibile premeditazione di un evento omicida.

 

 

LA BODY FARM DEL PARCO DEL TICINO
Da 10 anni il Laboratorio, in collaborazione con il Parco del Ticino, ha istituito la prima “body farm” non umana in Italia. Si tratta di diversi siti all’interno del Parco che presentano caratteristiche ambientali diverse tra loro, in cui il Labanof svolge studi sui processi di decomposizione in un ambiente controllato. Adibita principalmente allo studio della decomposizione all’aperto, la body farm offre la possibilità di osservare, studiare e documentare le diverse dinamiche, tempistiche e modalità della decomposizione. In particolare vengono osservati il ruolo che diversi suoli, vegetazione locale, temperature micro-ambientali, fenomeni meteorologici e fauna locale (insetti, volatili, mammiferi e batteri) possono giocare nella traiettoria dei processi tafonomici all'esterno. Inoltre, e vice versa, permette di monitorare gli effetti che un cadavere, durante l’intervallo della sua decomposizione, può avere sull’ambiente circostante alla sua deposizione, sia in contesti di superficie che di sepoltura.
Per creare modelli, che siano a norma di legge e il più vicino possibile alla realtà, tutti gli esperimenti e studi intrapresi sono compiuti con campioni animali, interi o parziali. Va sottolineato, che tutti i capi utilizzati nelle attività della body farm sono deceduti per cause indipendenti dagli studi intrapresi e nessun soggetto utilizzato è stato sacrificato specificamente per scopi di studio.
Oltre all’osservazione degli effetti della decomposizione in differenti ambienti naturali, e vice versa, allo scopo di fornire informazioni utili agli operatori che compiono attività operative sul campo, vengono eseguiti studi anche in merito alle interazioni che possono avvenire tra un’ipotetica vittima, l’ambiente in cui è depositato e l’introduzione di un’ampia varietà di materiali di natura antropica all’interno di determinate scene. Questi permettono così di comprendere, attraverso la raccolta di dati in un specifico ambiente controllato, il comportamento e segnatura di strumenti e metodi di ricerca non invasivi, quali: unità cinofile, varie strumentazioni geofisiche e operatori di ricerca di superficie.
Allo stesso modo in cui l’accesso ai dati provenienti dalla body farm è prezioso per l’operatore sul campo, offrendo materiale scientifico al quale riferirsi sia in operatività che in dibattimento giudiziario, la divulgazione dei dati e risultati degli studi costituisce un patrimonio di informazioni importante.

ANALISI DELLA SCENA DEL CRIMINE
Anche in ambienti chiusi o urbani, in cui non è detto che vi sia stato l’intento di occultare i resti di una vittima, il Laboratorio si dedica in particolare all’analisi di “scene” in cui sono presenti resti umani in contesti peculiari: completamente scheletrizzati o solo parzialmente decomposti, cadaveri in acqua, vittime depezzate e carbonizzate. Nella sopralluoghistica moderna, volta al recupero del maggior numero di informazioni possibile (a riguardo si fa presente che un numero sempre crescente di discipline scientifiche si stanno affacciando al mondo forense), la messa in opera di protocolli specifici legati ai particolari ambienti di rinvenimento è sempre più la prassi richiesta dagli inquirenti. Le condizioni dei resti in scenari singolari sono spesso tali per cui le informazioni disponibili possono essere solo parziali, se raccolte tramite indagine autoptica o sopralluogo “tradizionali”. In questi casi risulta di particolare utilità il coordinamento di una gamma di esperti provenienti da diverse discipline scientifiche, allo scopo di adottare un approccio comprensivo di ogni possibile interazione fra cadavere e ambiente e vice versa.
L’applicazione delle scienze afferenti (botanica, geologia, entomologia) in un approccio interdisciplinare è pertanto vitale per rispondere ai quesiti, sempre più specifici, posti dalle autorità giudiziarie. L’investigazione scientifica richiede apposita documentazione di estrema puntualità e particolari tecniche di repertazione di elementi di natura entomologica, botanica e geologica, spesso deperibili o trasformati da un loro specifico percorso di degrado. Allo scopo di trarre informazioni sull’epoca della morte, su eventuali spostamenti o modificazioni subiti da un soggetto in seguito al decesso e alla presenza di elementi estranei, che possono essere stati introdotti sulla scena in esame da terzi, l’entomologia forense, la botanica forense e la scienza del suolo offrono tutti formidabili opportunità di identificazione e acquisizione di materiale ambientale probatorio:
• le analisi entomologiche consentono di dedurre la successione delle colonizzazioni di insetti sul cadavere, e pertanto di definire una stima dell’epoca della morte, mentre la presenza di specifiche colonizzazioni e frequentazioni entomologiche, possono permettere di trarre informazioni su eventuali spostamenti di un cadavere da una scena primaria;
• attraverso il prelievo e successivo studio di eventuali materiali botanici associati ad una vittima e/o un luogo di deposizione, pollini, semi, foglie, infiorescenze e apparati radicali possono consentire di verificare spostamenti delle vittime da altri siti geografici che presentano, a loro volta, una unica conformazione botanica locale. Lo studio della dendrocronologia e del tempo di sviluppo delle diverse specie a contatto con un cadavere permettono di stimare l’epoca della deposizione e spesso anche quella del decesso;
• la scienza del suolo, attraverso il confronto anche di minimi quantitativi di terriccio o roccia prelevato da una vittima, con i suoli che caratterizzano il luogo di rinvenimento, può fornire informazioni in merito ad una scena primaria o del transito di una vittima in altro luogo.

 
Allo stesso modo di tutte le altre discipline scientifiche pertinenti al sopralluogo giudiziario, anche le attività svolte dagli esperti entomologi, botanici, e geologi sono da ritenersi irripetibili. Per questo la documentazione della scena e delle attività svolte durante il sopralluogo risulta essere di fondamentale importanza per l’attività di studio post-sopralluogo dei dati acquisiti sulla scena, la stesura della relazione tecnica finale e l’eventuale testimonianza in aula di giudizio.
Oltre alle tradizionali tecniche di rilievo e documentazione (fotografia, schizzi, descrizioni scritte e audio registrazioni), il Laboratorio utilizza metodiche di acquisizione topografiche tridimensionale, sia con l’impiego di strumenti topografici a laser (stazione totale), sia con la fotogrammetria 3D (SFM, structure from movement), sia tramite laser scanner 3D. La tecnica di documentazione con questi strumenti consente la registrazione, ad alta precisione, della vittima nei minimi dettagli, il contesto nel quale si trovano e tutti gli oggetti o elementi presenti che possono, anche in un secondo momento, essere considerati di pertinenza all’evento.
 

 

Oltre a fornire la possibilità di documentare la posizione di tracce biologiche su superfici orizzontali e verticali, con un elevato grado di precisione, i laser scanner 3D sono in grado di restituire l’esatta forma di evidenze biologiche. Per fare un esempio particolarmente calzante, il grado di precisione offerto da questi strumenti risulta essere di estrema utilità nelle tecniche di BPA (bloodstain pattern analysis), una disciplina scientifica che, attraverso le forme e posizioni di tracce ematiche rimaste sulle superfici, permette all'esperto in materie di comprendere le dinamiche, l’intensità e la successione di eventi avvenuti durante un episodio violento e/o omicida. Va sottolineato che la posizione, le dimensioni, l’orientamento, la morfologia, il colore e la precisa distribuzione delle macchie sono tutti dati fondamentali per poter effettuare ricostruzioni o avanzare ipotesi in merito ad eventi violenti e possono essere ritenuti meritevoli di essere tenuti in considerazione da una commissione giudicante durante una fase dibattimentale di un procedimento giudiziario. Uno dei vantaggi maggiori nell’impiego di laser scanner 3D nella documentazione dei bloodstains, oltre ad essere molto più veloce e altamente preciso dei metodi tradizionali manuali, risiede nel fatto che l’operatore non esegue l’acquisizione da una distanza ravvicinata alla superficie in esame. Questo fatto elimina qualunque rischio di contatto tra l’operatore e le macchie di sangue, che, se avviene può facilmente cambiare sia la forma che l’intensità delle evidenze ematiche, rendendo vana l’intera operazione d’indagine BPA.
Altra disciplina in cui questo tipo di documentazione è ormai necessaria è la ricostruzione virtuale della scena del crimine e la simulazione dinamica degli eventi. Infatti, i dati acquisiti durante un sopralluogo costituiscono una base di assoluta affidabilità, su cui effettuare qualunque tipo di re-enactment. Le simulazioni dinamiche si basano sulla riproduzione in un ambiente virtuale di un determinato fatto, verificando il comportamento di specifiche variabili di tipo fisico, riprodotte da modelli ingegneristici. Tali ricostruzioni vengono eseguite tramite appositi software in grado di calibrare il peso e la velocità delle diverse componenti fisiche all’interno di un ambiente in modo da calcolare le loro specifiche traiettorie. Le ricostruzioni dinamiche consentono pertanto di prevedere, entro certi limiti, il comportamento di un corpo nello spazio, e di trarre indicazioni circa la concordanza di una modalità lesive con le lesioni osservate durante l’indagine autoptica.

 


Un discorso particolare riguarda la scoperta di cadaveri carbonizzati, rinvenuti sia in spazi interni o vetture, che in aree all’aperto. Il motivo di questo tipo di scelta della distruzione di cadavere è, per lo più, riconducile alla volontà del reo di eliminare la possibilità che gli inquirenti hanno di identificare la vittima e, allo stesso tempo, di nascondere la causa del decesso, quali lesioni cutanee e ossee. In effetti si tratta di casi piuttosto complessi ove la fragilità dei segmenti corporei carbonizzati obbliga ad una particolare cautela e attenzione nel loro recupero. Data la natura della distruzione di cadavere con questa modalità, alcuni dei resti, in base alle temperature raggiunte durante la combustione, possono scoppiare, spargendo resti anche di dimensioni millimetriche, su una superficie relativamente ampia. In alcuni casi la combustione della vittima è accompagnata dalla contemporanea ulteriore distruzione dei resti tramite una ripetuta attività meccanica da urto, rendendo il lavoro di identificazione della vittima e la diagnostica delle lesioni estremamente difficili.
L’integrale recupero di resti carbonizzati risulta essere determinante per fornire la sua identità, obbligando ad una strategia di recupero particolarmente definita che comporta l’esame dettagliato dell’area di rinvenimento, la precisa documentazione della posizione dei singoli frammenti dei resti e la setacciatura a maglia fine di tutto il materiale recuperato dalla superficie.
Oltre a stabilire chi fosse la vittima, l’esame macro e microscopico di tutti i bordi dei frammenti ossei recuperati, al fine di individuare la presenza di eventuali segni lesivi, e la presenza di frammenti metallici, anche di dimensioni millimetriche che siano riconducibili a schegge di proiettili o punta da armi bianche, possono denunciare la probabile causa del decesso.